In punta di penna by Blythe Will

In punta di penna by Blythe Will

autore:Blythe, Will [Blythe, Will]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Scrittura
editore: minimum fax edizioni
pubblicato: 2018-04-15T22:00:00+00:00


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Il lupo nel grande prato

di Mary Gaitskill

Perché scrivo?

1. Per soddisfare un bisogno basilare, fondamentale. Credo che sia un bisogno avvertito da tutti. È il motivo per cui ai bambini piace disegnare le case, gli animali e la propria mamma; serve ad affermare la loro presenza nel mondo materiale. Nasci, e la vita ti dà tutto quello che i tuoi sensi riescono a sopportare: grandi flussi di sensibilità animalesca che scorrono parallelamente al pensiero. La luce del sole, le stelle, i colori, gli odori, i suoni. Le cose tenere, dolci, miti, quelle brutali, gelide, bollenti, salate. Tutte le diverse espressioni del volto e della voce. Per anni si riversa tutto dentro di te, e non puoi fare altro che farfugliare o gridare finché finalmente un giorno riesci a sederti con la matita in mano, fai un disegno e per tutta risposta strilli: «Sì! Ascolto! Vedo! Sento! Ecco cosa si prova!» È una creazione impulsiva e pura che va di pari passo con un delizioso sentire, un fantastico botta e risposta.

Succede persino quando il disegno descrive eventi terribili, o addirittura letali: i bambini di Auschwitz disegnavano. La parola «delizioso» forse non si addice a situazioni come quella, ma il fatto che i bambini disegnassero in circostanze così abominevoli dimostra la profondità del bisogno di rappresentare la realtà. Anche quando si tratta di una realtà dolorosa e orrenda, dire «Sì, Vedo, Sento, Ascolto, Ecco cosa si prova» resta un atto di grande potenza. Farlo conferma la tenacia basilare, persino feroce, di cui gli esseri umani necessitano per sopravvivere.

Quando ho imparato a scrivere, all’età di sei anni, la prima cosa che ho fatto è stata creare una storia. Narrava di alcune ghiandaie azzurre che si corteggiavano e si sposavano. Facevano cose che gli uccelli veri non fanno, cose che inventavo, e inventando passavo dall’atto di soddisfare un bisogno basilare a qualcosa di più complesso.

2. Per dare forma alle cose che possiamo sentire ma non vedere. Entri in salotto, dove tuo padre è seduto sul divano e ascolta della musica. Sei piccolo, quindi lui non ti vede e non ti sente. Il suo viso reagisce alla musica, l’espressione è rilassata, astratta, indica una concentrazione tutta interiore. Ma è anche afflitta. È un’espressione che non hai mai visto prima. A un certo punto lui ti vede e sorride, ma la musica riempie ancora la stanza del ricordo di quell’altra espressione. In un altro momento, camminando per strada, passi accanto a un’estranea e il suo volto ti colpisce: nei suoi occhi vedi qualcosa che ti fa pensare a lei sola in casa, mentre mangia un panino freddo. Immagini che le manchi qualcuno che amava e che non l’ha mai amata. Quella donna ti ha detto qualcosa con gli occhi, e tu l’hai sentita; non sai cosa sia di preciso, ma ne hai comunque un’immagine. Che è molto più di ciò che hai visto materialmente. Un amico una volta mi ha detto che ancora ricordava di aver visto, da ragazzino, il suo capo scout uscire da una capanna con un’espressione che gli aveva fatto venire voglia di piangere.



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